Più 30%. È questo l’incremento medio dei casi di disturbi alimentari registrato dallo scoppio della pandemia dal Percorso aziendale e dall’ambulatorio multidisciplinare “Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione” dell’Ausl Romagna, ambito di Ravenna. A fare il quadro della situazione nel territorio provinciale è la dottoressa Marinella Di Stani, responsabile clinico del Percorso sui disturbi della nutrizione e dell’alimentazione attivato da Ausl Romagna dal 2019 e presente sul territorio dal 1998. Si tratta di un percorso clinico che vede operativa, in ogni ambito sanitario della Romagna, un’equipe multidisciplinare, sia per pazienti adulti che minorenni, costituita da una componente psichiatrica (formata da uno psicologo-psicoterapeuta e uno psichiatra) e una componente nutrizionale (formata da medico nutrizionista, pediatra e dietista) a cui si aggiungono infermieri, educatori dell’Uocsm per i casi complessi e ad alta intensità di cura.
L’età media si abbassa, primi sintomi tra i 10 e i 15 anni
«Anche nel nostro territorio, la pandemia ha abbassato l’età di esordio di anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata (il cosiddetto «binge eating»). In particolare, già dal giugno 2020, abbiamo registrato un aumento esponenziale da parte di ragazze, nella fascia di età tra i 10 e i 15 anni. Fenomeno confermato anche sul fronte dei ricoveri in pediatria» spiega Di Stani, così come dai 35 ai 59 anni, sottolineando il legame diretto con la pandemia poiché «all’origine del disturbo alimentare vi sono ansia e depressione, condotte compensative legate a isolamento, mancata socialità e limitazione della libertà fisica».
Il maggior controllo da parte dei familiari, così come il mangiare assieme regolarmente, prosegue Di Stani «hanno portato alla luce comportamenti disfunzionali prima ignorati dagli adulti. In particolare, i campanelli d’allarme sono stati il non voler mangiare a tavola, o il manifestare disturbi dell’umore, d’ansia, ossessivo-compulsivi e di personalità».
«In particolare, per quanto riguarda l’anoressia nervosa, i comportamenti alimentari compensativi possono essere stati indotti dai limiti imposti all’attività fisica e dalla paura di ingrassare, mentre per chi soffre di bulimia e binge eating l’isolamento in famiglia non ha consentito le classiche condotte compensatorie, per paura di essere scoperti, portando in molti casi alla perdita di controllo e all’aumento di peso».
La Di Stani stima che gli accessi per disturbi alimentari nel 2020 siano aumentati circa del 30%, tendenza confermata anche per il 2021. «Lo vediamo tutti i giorni, con un continuo incremento di richieste di intervento. Nel primo semestre del 2021 abbiamo registrato la stessa percentuale sia nei minori che nelle persone adulte. Inoltre, se nel 2019 i pazienti presi in carico per disturbi del comportamento alimentare erano oltre il 90% donne, con lo scoppio della pandemia la percentuale “rosa” delle pazienti anoressiche ha toccato quasi il 100%».
Restando in tema “pandemia” alla domanda “Chi soffre di disturbi alimentari corre un rischio maggiore di contrarre il Coronavirus?” risponde che «la malnutrizione o il mal funzionamento dell’apparato gastrointestinale influenza negativamente la capacità dell’organismo di combattere le infezioni e quindi lo espone, con più facilità, al contagio anche da Covid». Rispetto alla ripresa della scuola, l’esperta spiega che «per chi soffre di problemi legati all’alimentazione e ha una vulnerabilità relazionale, il ritorno alla socialità può favorire una riduzione dei disturbi» ma prosegue sottolineando che «stiamo notando purtroppo che molti ragazzi che si erano abituati all’isolamento ora stanno avendo difficoltà nella ripresa delle relazioni sociali. Quindi le persone vulnerabili hanno prima patito l’isolamento, ma adesso soffrono la ripresa delle vecchie abitudini. Il bisogno di aiuto continua a esserci – conclude – così come continua l’incremento degli accessi».
Cosa fare? Il primo passo è avvisare il medico di base
Cosa fare nel caso si tema che un figlio o un parente soffra di disturbi alimentari? Bisogna rivolgersi al medico di base o al pediatra, che, dopo aver verificato l’insorgere del disturbo, attiva il percorso multidisciplinare di presa in carico. Il Servizio sanitario garantisce per gli adulti una lista d’attesa al massimo di 15/20 giorni, mentre per i minori, dove dal 2020 vi è stato un incremento della domanda, i tempi d’attesa sono poco al di sopra delle due settimane. Il programma regionale Dna (Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione) garantisce percorsi multidisciplinari, sia nella fase di valutazione che in quella di trattamento. Il programma assicura continuità degli interventi nella transizione dall’età evolutiva all’età adulta.
Sara Pietracci