Nell’Italia dello sport che aspetta Mourinho e Allegri, che celebra guru e santoni, vince la semplicità. 

Per spiegare il successo agli europei maschili di pallavolo, guadiamo al tecnico Fefè De Giorgi che, nel momento più difficile, quando sotto di un set gli azzurri rischiavano di lasciarsi andare, ha abbassato sul naso gli occhialetti da zio buono e ha scrollato i suoi ragazzi con una carezza ruvida, una strigliata che pareva un buffetto. “Stiamo giocando la finale dell’Europeo, adesso siamo punto a punto e vi vedo con queste facce che non si possono guardare”. Una frase che ricorda la mamma del “Figlio mio come sei pallido”, con in più il “Coraggio!” del nostro professore alla maturità: dai, che hai studiato. 

Poco prima De Giorgi era stato ancora più chiaro: “Non dobbiamo per forza tirare più forte e più angolato: giochiamo!”. Perché l’abbiamo complicata con paroloni inglesi, ci riempiamo la bocca di spikes (schiacciate) e di block-out (mani fuori) ma la pallavolo resta uno sport di squadra semplice, dove il solista può poco senza una buona base di squadra.

De Giorgi lo sa bene, perché nella “generazione di fenomeni” allenata da Julio Velasco (secondo la meravigliosa definizione coniata dal giornalista Jacopo Volpi, mutuandola da una canzone degli Stadio), lui giocava in regia, era palleggiatore, che è un po’ il cuore della squadra, l’uomo che di volta in volta deve decidere il compagno su cui puntare, scegliere a chi affidare il colpo che deve segnare il punto. In Polonia il suo alter ego in campo è stato Simone Giannelli, più o meno il Jorginho della nazionale di calcio, a sua volta oro continentale, ma a Londra. Entrambi premiati come i migliori giocatori del torneo.

Un mix di tecnica e geometria, di fosforo e talento, a dettare la marcia, pallone dopo pallone, provando a disegnare ogni azione come se fosse la prima. O l’ultima. È molto merito loro se l’estate dei successi azzurri iniziata con il calcio, l’estate dei Jacobs, dei Tamberi, di Paola Egonu e delle azzurre del volley, di Bebe Vio in pedana e al Parlamento europeo, sembra non finire mai. Con eroi anche dalla nostra Romagna: nei Mondiali di ciclismo del centenario la gara in linea Under 23 ha visto il trionfo di Filippo Baroncini, da Massa Lombarda, e uno degli uomini che De Giorgi ha mandato in campo alla fine del quarto set è stato Fabio Ricci, da Cotignola.

La verità è che senza accorgercene abbiamo coltivato una generazione di velocisti, di saltatori, di ginnasti, di funamboli del vento domato sulle due ruote, di magnifici solisti e, ancora più sorprendente, di campioni disposti a farsi gregari per il bene di tutti. 

Vogliamo credere nel sogno che parecchi dei talenti vittoriosi, molti giovanissimi, debbano ancora esprimersi del tutto, che dal tennis al basket, dai Sinner e Musetti ai Niccolò Mannion, ci sia altra grande qualità che spinge per venire fuori. Giovani spesso già temprati dalla vita all’estero, lontano da casa, magari con l’accento straniero, ma con tanto tricolore tatuato sul cuore. 

La cosa davvero importante, l’unica che chiedono, che non può mancare, è uno sguardo tecnico eppure amico, che nel momento del bisogno ti sappia dire: come mai quella faccia? Coraggio, giochiamo. 

Un’estate di sport, un’estate che parla alla vita di ciascuno di noi: coraggio, si può sempre ripartire!

Tiziano Conti