Il corpo del martire san Savino, uno dei quattro protettori della città, riposa nella grande cappella a lui intitolata alla testata della navata sinistra del Duomo, entro un bellissimo artistico sarcofago istoriato di scuola toscana, lodato dal Vasari, scolpito nel 1468 circa.
Una ventina d’anni prima Astorgio II Manfredi aveva portato in Duomo le sacre reliquie prelevandole dalla chiesa di San Savino, presso Fusignano.
L’attuale disposizione e decorazione della cappella risalgono agli anni 1613-1616, e furono promosse dalla Comunità. Grazie a note di conti, già segnalate dallo Zaccaria fin dalla fine dell’Ottocento, possiamo seguire lo svolgimento dei lavori e conoscere i nomi degli artisti che vi operarono.
Agli ornamenti vennero preposti due anziani, Andrea Monaldini e il celebre pittore Ferraù Fenzoni. La cappella venne ampliata a somiglianza di quella di Santa Maria del Popolo. L’appendice venne ricoperta con una volta a botte, con sottostante finestra a mezzaluna. Gli artefici, finora inediti, furono il capo mastro Tommaso Maradi e il muratore Ercole Buchi, l’anno di esecuzione dei lavori murari il 1613.
Negli ultimi mesi di quell’anno iniziò a lavorarvi lo stuccatore Andrea Guerra. Il suo nome è stato fatto per la prima volta dallo Zaccaria. Dalle note di spesa della Confraternita del Santissimo Sacramento della Cattedrale apprendiamo che era originario di Bologna. Erroneamente dunque i nostri scrittori lo ritengono faentino. Il Guerra lavorò da solo agli stucchi negli anni 1613-1614, mentre nel 1615 venne affiancato dagli indoratori Marco Bertone e Innocenzo Zanolini, i cui nomi sono stati fatti per la prima volta dal Savioli.
Il Guerra decorò i pilastri con allegorie delle virtù cardinali, divise la volta a vela in quattro scomparti, raccordati da angeli allo stemma Manfredi della chiave di volta. Ai pennacchi pose medaglioni con i quattro Evangelisti.
Fu il pittore urbinate Bendetto Marini ad eseguire l’intera decorazione ad affresco
Infine tra il 1615 e il 1616 il pittore urbinate Benedetto Marini (1590-1629) eseguì l’intera decorazione ad affresco. Il primo a fare il suo nome, in rapporto a questa cappella, è lo Zaccaria. Precedentemente i dipinti erano ritenuti tutti opera del Fenzoni.
Vi rappresentò episodi della leggenda del martire. Nel riquadro della volta più vicino all’arco d’ingresso si vede il santo davanti al pretore della Tuscia Venustiano, nel secondo il supplizio del taglio delle mani in seguito all’abbattimento di un idolo di Giove, nel terzo il santo che guarisce il nipote cieco della matrona Serena, nel quarto il battesimo del giudice Venustiano, convertito alla fede.
Nella volta a botte sopra l’arca, in tre scomparti, sono rappresentati al centro l’apparizione di un angelo nella Silva Liba, presso Fusignano, che ordina al martire di recarsi ad Assisi ad annunciare la fede, in quello di sinistra la predica in quella città, nel terzo una scena quasi completamente perduta.
Nel lunettone cieco della parete di sinistra e nel sottostante riquadro sono rappresentati la scena del martirio e il santo disteso nel feretro.
Nelle pareti inferiori, a fianco dell’arca, compaiono i santi Ivone e Giovanni Evangelista, titolari un tempo della cappella.
Questi affreschi sono senza dubbio opera del Marini, come risulta dai pagamenti. Tuttavia quelli della parete sinistra presentano molte analogie nel disegno, nella maniera di comporre, nelle pose dei corpi e nelle espressioni dei visi coi lavori del Fenzoni, ad esempio con quelli della cappella laterale di san Carlo Borromeo nella stessa Cattedrale, dipinta in quegli anni.
Il Marini operò forse autonomamente nella volta mentre eseguì gli affreschi laterali su cartoni offerti dal Fenzoni, una soluzione questa già parzialmente prospettata dallo Zaccaria.
Per monsignor Savioli sono coevi e ugualmente opera del Marini anche i cinque quadretti che ornano la cantoria di destra, leggermente aggettante, dove sono rappresentati ai lati i quattro dottori occidentali (i santi Ambrogio, Gregorio, Agostino, Girolamo) e al centro una scena di difficile interpretazione.
A completamento dell’ornamento di questa magnifica cappella Antonio Zaffo eseguì nell’anno 1616 una vetrata, come apprendiamo dalle note sopra ricordate, che non ci è giunta.
Ruggero Benericetti