Ci sarà quasi certamente un coro nella sua futura parrocchia tra i pigmei di Monassao, in Centrafrica. «Ma niente gregoriano: la musica liturgica deve rispecchiare la cultura nella quale è inserita». Sulla tavola, invece, punta a esportare un po’ spaghetti, Davide Camorani, 49 anni, che sabato prossimo diventerà sacerdote nella Società delle missioni Africane (Sma) e poi, a settembre, partirà appunto per l’Africa.

Originario di Mezzano, infermiere professionale con la passione per la musica (ha cantato per anni nel coro della Cattedrale di Faenza dove si era trasferito per lavoro, e anche all’Accademia MusicaeCesena), è pronto a “spiccare il volo”: sabato prossimo sarà il vescovo di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso a ordinarlo mentre il giorno successivo, domenica 25, alle 10, celebrerà la prima Messa a Mezzano. In prima fila, ci sarà anche padre Pierluigi Maccalli, il missionario della Sma che è stato rapito e tenuto prigioniero per 18 mesi in Niger, dove lavorava proprio insieme a Davide, ancora seminarista. Da qui è nato il legame tra loro, che ci racconta in questa intervista.

L’intervista a Davide Camorani

Davide, anzitutto, come ci si sente a un passo dall’ordinazione?

A dir la verità, non ho tempo di sentirmi: ho impegni fino all’ultimo giorno qui nella parrocchia di Santa Maria di Castello, nel centro di Genova, dove ho passato l’ultimo anno da diacono. E poi ci sono tutti i documenti da fare, i visti e le vaccinazioni. La comunità qui è molto anziana ma sono tante le attività che facciamo anche con la Fondazione Migrantes.

Sabato però c’è l’ordinazione…

Già. Un po’ di preoccupazione c’è, ma soprattutto gioia e attesa. Poi mi conosco: mi emozionerò. Anche il giorno successivo a Mezzano, dove ho passato l’adolescenza. Ci saranno tutti i miei amici di vecchia data. E ci sarà anche padre Pierluigi Maccalli all’ordinazione. Ci siamo rivisti dopo la sua liberazione e mi ha detto: «Pensavo fossi già prete». Diciotto mesi di prigionia fanno perdere la cognizione del tempo…

Ora, però, prete lo diventerai sul serio

Padre Pierluigi a un certo punto mi ha detto «Hai trovato quel che ti rende felice, la tua strada». È vero, ma anche prima la mia era una vita bellissima: facevo un lavoro che amavo, e poi c’era la musica. Però la missione ce l’avevo dentro, come l’Africa. E alla fine l’ho dovuto ascoltare.

Perché proprio l’Africa?

In Africa ci si rende conto di tante cose un po’ inutili. Viviamo certamente in un clima diverso, nel quale ci possiamo permettere di lavorare a ritmi diversi. Ma mi sembra che qui sia tutto è complicato: non puoi sorridere a un bambino senza essere preso per pedofilo. Ovviamente è un’esagerazione, ma trovo che lì, in Africa, ci sia un modo di approcciarsi alla vita molto più umano, più aperto. Qui tutto è un diritto, là tutto è dono.

Lavorando nella sanità avevo proprio questa percezione: che l’ospedale fosse un distributore di servizi. Non è così, ce ne siamo accorti con il Covid. In Africa se muore un bambino la reazione dei genitori è «Dio ha voluto così»: che non è vero, intendiamoci. Ma tutto è un dono, anche la vita. E si è grati per tutto.

Dove andrai?

Sarò in Repubblica Centrafricana, nella parrocchia di Monassao, in zona pigmea, all’estremo Sud, tra Camerun e Congo: una missione nuova per la Sma. Là c’è un parroco polacco della Sma che però partirà tra un anno e mi accompagna un altro sacerdote di Savona che si è da poco associato alla Sma. Partiremo in settembre: è un po’ un salto nel buio.

Per qualche mese sarò nella capitale, a Bangui, per imparare la lingua locale, il sango. E anche perché in quel periodo è impossibile raggiungere la missione perché è il periodo delle piogge. In generale è una zona piuttosto tranquilla, i disordini sono al Nord, al confine con il Ciad e c’è un parco naturale che la rende anche un po’ più controllata dalla polizia.

Cosa farai là?

La missione ha un dispensario, una scuola elementare e una parrocchia. Medici arrivano periodicamente (una volta al mese un chirurgo si reca nella missione e opera chi ha bisogno di interventi programmabili, ndr). Se c’è bisogno di un infermiere mi metterò a disposizione, ma sarò soprattutto un sacerdote.

Come nelle altre missioni in Africa la chiesa si trova nel paese più grande ma il parroco si occupa anche dei villaggi attorno: sono 15 a Monassao, pochi per lo standard africano. Il Centrafrica è molto povero ma la terra è buona e si può cacciare e pescare. La comunità rurale riesce sempre a cavarsela, probabilmente più che in Niger, dove le condizioni sono disastrose. I pigmei sono discriminati in Africa ma quel posto è una specie di riserva nato con l’obiettivo di integrarli.

Quanto rimarrai? Farai cantare i tuoi parrocchiani?

Per ora sono inviato per sei anni. Poi si vedrà. Certamente farò cantare chi lo vorrà. Tra l’altro, ho scoperto che i pigmei sono molto portati per il canto polifonico: a quanto dicono, cantano bene. Ma niente gregoriano o cose simili: la musica liturgica deve rispecchiare la cultura nella quale è inserita. Faremo canti africani. Invece in cucina… gli spaghetti. Il mio collega è cuoco professionista.