Nato il 21 giugno 1939 a Fognano e morto il 15 maggio scorso, perse il padre mentre era in seminario. La mamma era postina. Don Antonio Bandini fu ordinato l’8 giugno 1963. Cappellano in San Michele/Pieve a Bagnacavallo dal 1965, con mons. Giuseppe Cornacchia (anche lui di Fognano), è stato insegnante di Religione nelle scuole medie di Bagnacavallo. Parroco di Villa Prati dal 2000, ha combattuto con la malattia dal 2010. Cercando testimonianze su don Antonio, ci siamo imbattuti più volte in una frase biblica: “Ho combattuto la buona battaglia”. Il primo a dircela è stato don Luigi Guerrini, fino a qualche anno fa parroco a Bagnacavallo. Come lui Roberto Gordini, diacono a Rossetta.
Don Guerrini qual è la buona battaglia di don Antonio?
“Quella della vita nobilitata dal lavoro: non stava mai con le mani in mano, trascurando un po’ per questo i libri che ha ripreso in mano e con interesse in questi ultimi anni di malattia. Ma anche la battaglia contro la malattia da cui non ha voluto farsi condizionare rispetto agli impegni pastorali che ha voluto onorare fino all’estremo delle forze. Infine, la battaglia della propria autonomia che si è concretizzata soprattutto nella ’fedeltà a Bagnacavallo’, da cui non ha mai voluto allontanarsi nonostante le proposte ricevute”.
“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. – rilancia Roberto – Per 35 anni è stato formatore di intere generazioni di ragazzi e ragazze”.
Don Luigi, che uomo era Antonio?
“Di carattere forte, aveva alcune convinzioni personali sia riguardo l’attività pastorale che agli aspetti umani. A quelle convinzioni ha orientato tutto il suo operare spesso nella solitudine, senza cercare mediazioni a tutti i costi e sopportando le critiche che non gli sono mancate”.
“Era un grande lavoratore. – aggiunge Roberto – Ovunque è andato ha lavorato fisicamente per migliorare ambienti e aree verdi delle parrocchie. Sue opere importanti sono la creazione dell’area verde di San Pietro in Silvis e le ristrutturazioni nei locali parrocchiali di Villa Prati. Era manualmente molto capace”.
Roberto, che prete era don Antonio?
“Sostenitore della formazione cristiana delle famiglie. Il rapporto era costante. Andava ogni giorno in una famiglia a pranzo. Occasione di incontro, accoglienza e dialogo. Le famiglie lo hanno aiutato. Uscito dall’ospedale, nel 2010, venne ospitato dalla famiglia Bassi per venti giorni. Trasmetteva speranza a chiunque si presentasse a lui con problemi, anche drammatici. Credeva che la formazione cristiana dovesse partire dalla conoscenza approfondita della Parola di Dio. Per questo organizzava serate bibliche. Anche nelle omelie c’era sempre una profonda analisi del testo biblico”.
“Ha proposto una religiosità che partiva dall’uomo, – aggiunge don Luigi – dai suoi sentimenti, aspettative e progetti, prima che dalle devozioni e pratiche religiose; puntava sui rapporti umani, sulle amicizie che ha sempre cercato di favorire in tutti i modi, e che viveva per primo nell’accoglienza, nell’ascolto, nella vicinanza soprattutto di giovani, nella scuola per tanti anni oltre che nell’attività catechistica che prolungava a tutta l’estate trasferendosi alla Sambuca per quelli che oggi chiameremmo i centri estivi”. Ha educato alla mondialità sostenendo le iniziative che mons. Cornacchia aveva intrapreso a favore del Benin e promuovendo la raccolta di fondi e materiali dando il via a un’iniziativa che oggi chiameremmo di riciclaggio e di riuso.
Personalmente l’ho visto generoso verso la parrocchia e i lontani: la Chiesa dei Caduti, la Pieve, s. Michele, il Benin e l’Ami, il Congo di p. Querzani, ma sempre nel silenzio non volendo pubblicizzare le sue offerte”.
Attenzione missionaria
Don Antonio,- scrive Luisa Bezzi – ha proseguito l’opera intrapresa da mons. Cornacchia, già arciprete di Bagnacavallo fino al 4 gennaio ‘81. Mons. Cornacchia incontrò per caso Emanuele Akoueté, in Italia per motivi di salute. Lo aiutò, lo ospitò e lo mantenne agli studi per sei anni, fino a fargli conseguire il diploma di analista ospedaliero.
Decise poi di aiutare il poverissimo villaggio natale di Emanuele, Oky, nel Benin. A tale scopo si recò per ben due volte in Africa e progettò una raccolta fondi per realizzare varie opere (pozzo, scuola, chiesa, falegnameria…). Alla morte di mons. Cornacchia, il gruppo di “amici del villaggio di Oky”, già costituito, continuò sotto la guida di don Antonio.
Nel 1990 si mise a punto un nuovo progetto e si decise di far venire in Italia il giovane Franck Akoutè, figlio ventenne di Emmanuele per fargli studiare elettrotecnica e farlo poi ritornare in Benin per contribuire allo sviluppo economico del suo paese.
Nel marzo del 1991 Franck arrivò in Italia e fu costituito un nuovo gruppo di una ventina di famiglie per sostenere economicamente il progetto, tra cui una famiglia di cui il ragazzo fu ospite.
Dopo gli studi alla Scuola per Stranieri di Perugia, all’Ipsia di Lugo Franck divenne perito elettrotecnico. Dopo un periodo di lavoro a Milano, fece venire in Italia la sua fidanzata Ida del Togo, e si sposò.
Attualmente vive a Nizza, e ha due figli: Ilaria e Uriel ed è rimasto in contatto con chi l’ha ospitato e con tanti amici conosciuti durante il suo soggiorno a Bagnacavallo. Don Antonio ha sempre seguito le sue vicende con affetto e ha continuato ad aiutare la famiglia di Emanuele, cercando finanziamenti per la sorella di Franck, Frida, anche lei in Italia nel 2002 per conseguire una specializzazione nel campo infermieristico.
a cura di Giulio Donati