Continua lo scaricabarile delle autorità nazionali su quelle europee.

Pochi giorni fa, anche il ministro Speranza ha accusato la Commissione di aver commesso errori nell’approvvigionamento di vaccini.

Ad essere precisi, il ministro della salute italiano ha anche detto che unire gli sforzi e comprarli a livello europeo è stata la soluzione migliore. Tuttavia, non ha detto, ad esempio, che ai negoziati con le aziende produttrici di vaccini, insieme alla Commissione Europea, c’era Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della salute italiano.

Anche quando accusa la Commissione “di non essere stata abbastanza veloce”, forse il ministro dimentica che i primi vaccini sono stati forniti agli Stati Membri già cinque mesi fa, e che molti rallentamenti sono dovuti ai disaccordi interni tra gli Stati.l’Unione Europea non ha un proprio vaccino

Ad ogni modo, Speranza ha sottolineato un aspetto centrale della vicenda: l’Europa forse paga il fatto di non avere un vaccino proprio, “made in EU”.

Questo nonostante Astrazeneca sia anglo-svedese, BioNTech tedesca ed alcune di queste società abbiano ricevuto ingenti fondi da alcuni Stati europei.

Come mai?

Ecco perché i primi vaccini anti-covid non sono stati sviluppati in Unione Europea

Da una parte, va detto, i vaccini europei ci sarebbero: Sanofi-Aventis, gigante della farmaceutica, ha sede in Francia e sta sviluppando il proprio composto. Purtroppo, l’azienda è stata meno brillante dei suoi concorrenti, ha avuto incidenti di percorso e arriverà sul mercato più tardi. Curevac, tedesca e ReiThera, italiano, promettono anch’essi un vaccino efficace nei prossimi mesi.

D’altra parte, se trai primi vaccini resi disponibili non c’è ancora quello europeo è perché era più conveniente farlo negli USA, in Cina, nel Regno Unito, in Israele e persino in Russia.

Per provare a capirne il motivo, prendiamo l’esempio di una grande azienda che voglia investire nello sviluppo di un nuovo prodotto ed ottenere il massimo di vendite. Preferirà, in generale, mettere la propria sede in Europa o negli USA?

Gli USA offrono un mercato di 330 milioni di potenziali consumatori, senza particolari barriere tra uno Stato e l’altro, regole uniformi, stessa moneta, stessa lingua ed un fisco che favorisce l’imprenditore.

L’Unione Europea potrebbe offrire un bacino di 446 milioni potenziali clienti, lavoratori specializzati e un savoir-faire unico in molti settori. Invece offre 27 mercati diversi, con 25 lingue diverse (a Cipro si parla il greco ed in Austria il tedesco), 9 diverse valute (solo 19 Stati Membri hanno l’Euro), ognuno con le proprie leggi in quasi tutti gli ambiti ed i propri ostacoli alla circolazione tra una frontiera e l’altra. Senza contare i tempi della burocrazia in alcuni Stati, le tasse da pagare, i tempi della giustizia per recuperare crediti o per risolvere litigi con concorrenti e fornitori.

Ultimo, ma non meno importante, l’UE impone generalmente una tassazione esorbitante per gli imprenditori.

Insomma, le aziende preferiscono impiantarsi altrove o emigrare il prima possibile e l’Europa non solo non attira aziende dagli altri paesi, ma ne perde ogni anno.

Anche se, è risaputo, molte grandi società mondiali hanno installato la propria filiale europea in paradisi fiscali come Irlanda, Olanda, Lussemburgo, continuando però a pagare gran parte delle tasse altrove.

Borrell (Alto Rappresentante per la politica estera europea): “Passo metà del tempo a fare diplomazia interna”

Infatti, se ci troviamo a questo punto è perché gli Stati non hanno mai voluto cedere all’UE la competenza su tutte queste materie (a partire da quella fiscale), restando quindi liberi di fare a modo proprio. Così ci si fa concorrenza l’un l’altro, invece di unire gli sforzi come Unione Europea e fare concorrenza a USA, Cina e gli altri.

Anche quando un paese come la Turchia viola la sovranità Greca o attacca navi dell’ENI in acque cipriote (quindi europee), gli Stati Membri litigano e non trovano l’unanimità per imporre sanzioni ad Erdogan, che ancora una volta ne esce impunito.

Anche questa, come altre umiliazioni europee in ambito internazionale e come tantissimi dei problemi dell’Europa, si spiegano con tre parole: diritto di veto.

O per dirla con le parole di Borrell, Alto Rappresentante per la politica estera europea (il “ministro degli esteri europeo”): “passo la metà del tempo a fare diplomazia interna per mettere d’accordo i 27 Stati Membri”.

Nel frattempo, il resto del mondo corre e noi no.

Federico Patuelli