In occasione del Giubileo dei Governanti, Papa Leone ha pronunciato alcune significative parole. Dopo aver richiamato le parole di Pio XI, secondo cui la politica è la più alta forma di carità, ha invitato chi ha responsabilità di governo a perseguire il bene comune, favorendo il superamento di diseguaglianze e povertà, a favorire la libertà religiosa e il dialogo interreligioso, nel rispetto della legge naturale, nonché a governare il fenomeno dell’intelligenza artificiale. Sulla legge naturale, ha citato un importante passo de De Re Publica di Cicerone, secondo cui “La legge naturale è la diritta ragione, conforme a natura, universale, costante ed eterna, la quale con i suoi ordini invita al dovere, con i suoi divieti distoglie dal male“, che è la stessa a Roma e ad Atene.

Qui voglio ricordare un episodio, che forse non è conosciuto come meriterebbe, in cui i protagonisti perseguirono il Bene Comune e la Legge naturale, e cioè il salvataggio della Cappella degli Scrovegni a Padova, in cui furono coinvolti alcuni Notai e un Avvocato (ebreo). Com’è noto, gli Scrovegni sono una culla della civiltà cristiana e una delle più importanti opere d’arte mai realizzate. Gli affreschi di Giotto e le sculture di Giovanni Pisano hanno un valore inestimabile. Giotto traduce in volgare il Vangelo e le sacre scritture, dipingendo come mai prima i sentimenti dei personaggi. Il Patrono della Chiesa degli Scrovegni (Chiesa di Santa Maria de Caritate o Ecclesia de Arena) era Enrico Scrovegni, ricchissimo imprenditore, commerciante e finanziere (forse anche usuraio). Egli si sentiva un mecenate e volle creare questa inestimabile opera d’arte a beneficio di Dio e delle comunità cui apparteneva, Padova e Venezia. Questa sua finalità è chiaramente indicata nella bellissima opera di Chiara Frugoni “L’affare migliore di Enrico Giotto e la Cappella degli Scrovegni“.

Provvidenziale fu la decisione di Enrico Scrovegni di redigere un testamento cd. nuncupativo, oggi diremmo testamento pubblico, nel quale il testatore detta al Notaio le sue volontà, che il medesimo traduce e tramanda – condidit – in forma scritta. Il testamento nuncupativo di Enrico Scrovegni, redatto da quattro Notai e alla presenza di ben trentaquattro testimoni a Venezia il 12 marzo 1336, e precisamente a Murano, nella sala capitolare del monastero camaldolese, è una summa di ars notaria, ed è stato studiato a fondo da Attilio Bartoli Langeli. Autore del testamento è il Notaio Rafaino de Caresinis cremonese (giovane di 22 anni), coadiuvato da altri tre Notai, tra cui il padre. Non è ovviamente questa la sede per un esame approfondito del testamento dello Scrovegni. Dal suo esame emerge un dato assolutamente chiaro e incontrovertibile. Enrico si rende perfettamente conto del valore inestimabile dell’Ecclesia de Arena, che considera il bene di gran lunga più importante del suo patrimonio. Null’altro di quant’altro egli possiede, terreni, palazzi ed enormi ricchezze vale quanto gli affreschi di Giotto e le sculture di Giovanni Pisano. Nel testamento, la Ecclesia de Arena assume un’assoluta centralità. Egli infatti, con uno straordinario colpo di genio, e una visione profetica, impone ad essa un vincolo pubblico, stabilendo che gli esecutori testamentari dovranno conservare in perpetuo “semper teneant et conservent illum locum et bona“, ossia la chiesa dell’arena e i suoi beni, ad honorem Dei et communitatum Padue et Venetiarum.

Il Notaio è qui bravissimo nel trovare queste due parole “honor” et “communitas“, che attribuiscono alla Chiesa, che rimane privata, una prospettiva di organicità superiore, spirituale e temporale, trascendente e terrena, conformemente alla volontà del testatore. Enrico dispone poi che l’erogazione dei servizi liturgici nella Chiesa non debba subire interruzioni, prevedendo poi che se la sua volontà non fosse stata rispettata, la Chiesa avrebbe dovuto essere devoluta al Vescovo di Padova. Nel corso del tempo questa destinazione pubblica venne mantenuta, ad esempio in occasione della Festa dell’Annunciazione, molto sentita a Padova. Va rilevato che proprio il 25 marzo 1305, la Ecclesia de Arena fu consacrata alla Vergine Maria. La genialità profetica di Enrico Scrovegni salvò la Ecclesia de Arena e le inestimabili opere d’arte di Giotto e di Giovanni Pisano 500 anni dopo la sua consacrazione. Infatti, intorno al 1820, i proprietari di allora (nobili Foscari e poi Baglioni Gradenigo), avevano cominciato la sua demolizione per venderne i materiali. Ai loro scellerati intenti si oppose il Comune di Padova, nei primi tempi senza successo, perché i Tribunali davano sempre ragione ai proprietari. Il brillante Avvocato ebreo Giacomo Levi-Civita (1846-1922), prima Consigliere comunale e poi Sindaco di Padova, riuscì finalmente a dimostrare che, sin dalla sua consacrazione, la ecclesia de Arena aveva avuto sempre una destinazione pubblica, pur rimanendo privata. Infatti, il vincolo pubblico imposto da Enrico Scrovegni nel suo testamento non era mai venuto meno, e questo permise al Comune di vincere la causa contro i proprietari.

Finalmente intorno al 1880, con atto notarile, la Chiesa fu venduta per 54.921 Lire al Comune, che poté così subito iniziare i lavori di restauro. Solo recentemente, nel 2021, l’Ordine degli Avvocati di Padova ha collocato nella propria sala conferenze in tribunale un busto di Levi Civita, come gesto riparatorio dell’asportazione della targa a lui dedicata, che era stata tolta a seguito delle leggi razziali del 1939. Suo figlio Tullio fu un matematico eccelso docente alla Sapienza di Roma, e perse la Cattedra nel 1938, divenendo oggetto di persecuzione. Fu salvato da Pio XI, che lo nominò membro dell’Accademia Pontificia della Scienza. Morì dimenticato da tutti nel 1941.

Non bisogna dimenticare che gli affreschi di Giotto contengono una scena fortemente antisemita, e precisamente il Bacio di Giuda, nella quale Giotto asserisce inequivocabilmente la responsabilità dell’intero popolo ebraico nella cattura e morte di Cristo. Inoltre, un’altra figura, quella del nero bastonatore di Cristo, identifica il Diavolo nelle vesti di un saracino, ed è pertanto dispregiativa nei confronti dei musulmani. E’ quindi evidente che Giacomo Levi-Civita agì in base non ad interessi particolari, ma alla legge naturale evocata da Papa Leone XIV, per perseguire il bene comune, e la Pace, e di questo dobbiamo essergliene profondamente grati. Il suo esempio ci dimostra quanto sia importante cercare sempre il dialogo interreligioso, come fa ad esempio la Diocesi di Faenza Modigliana, con il suo Tavolo dedicato, e come fa il Museo Interreligioso di Bertinoro, nato per iniziativa del Senatore Leonardo Melandri, all’interno della Rocca Vescovile di Bertinoro.

Paolo Castellari