Bob Beamon alle Olimpiadi di Mexico City il 18 ottobre 1968 effettuò quello che è ricordato come il salto in lungo più incredibile che sia mai stato effettuato su una pedana. Quel volo nell’infinito che sembrava non dovesse finire mai, dove l’americano atterrò a 8.90 metri senza capire di avere sorvolato il cielo. Nuovo record del mondo, migliorato di oltre mezzo metro, che sarebbe durato 23 anni.

“The Moment”: una fotografia che ha fatto la storia

La fotografia che lo immortala viene ricordata come “The Moment”. Il momento in cui arrivò il futuro e l’uomo posò la sua orma sulla sabbia di un nuovo mondo, un anno prima di quella di Armstrong sulla luna. È di Tony Duff, inglese, contabile dell’ufficio tasse. Non un fotografo professionista, ma uno che amava la Swinging London, che era arrivato alle Olimpiadi del Messico pagando di tasca propria il viaggio aereo, che si fidanzava spesso con le atlete per poter avere da loro biglietti gratis per entrare allo stadio. Capitò anche quella volta, la prescelta era un’ostacolista britannica, Patricia Nutting, alla sua terza Olimpiade, che gli prestò anche la giacca della tuta per farlo entrare senza problemi al villaggio olimpico. Allora si poteva e purtroppo fu lo stratagemma che usarono nel ’72 a Monaco i terroristi di “Settembre Nero” per avere accesso alle palazzine degli atleti. “Verrai a vedermi?” gli chiese Patricia. E lui andò. Alle 15.45 però iniziava il salto in lungo e Duff si spostò lì, aveva una Nikkormat, un rullino in bianco e nero e sembrava esattamente quello che era: un dilettante allo sbaraglio, un turista fai da te. Vide che i posti frontali alla buca del salto erano vuoti, salutò e sorrise agli studenti messicani, volontari dell’organizzazione, e sì accomodò, senza accredito, dove non gli spettava. A nemmeno 15 metri dall’orlo della buca. Beamon saltò, anzi rimase aggrappato al cielo per sei lunghi secondi. Ritorno al futuro, esattamente al 1991 quando Mike Powell a Tokyo atterrò cinque centimetri più avanti. Duff scattò, mise il rullino in tasca, dove lo tenne per due giorni, senza sapere di avere fatto il clic perfetto.
Cosa diceva il grande Robert Capa? “Se non è venuta bene, significa che non eri abbastanza vicino”. E Duff quel giorno era il più vicino. Quando una foto cambia due vite: quella di Beamon che rimase per sempre appesa a quel salto (mai più ripetuto) e quella dell’impiegato delle tasse Tony Duff, che due anni dopo decise di licenziarsi e di aprire un’agenzia di fotografia. E per finire un consiglio: la mostra retrospettiva dedicata a Robert Capa, il più grande fotoreporter del XX secolo, fino all’1 aprile 2024, a Villa Mussolini a Riccione, con più di 100 immagini in bianco e nero che documentano i maggiori conflitti del Novecento, di cui Capa è stato testimone oculare, dal 1936 al 1954,
anno della sua morte in Indocina, calpestando una mina antiuomo.

Tiziano Conti