In mezzo a un mare di promesse, i fatti di chi, in silenzio, si rimbocca le maniche. E che portano un quartiere di Faenza, prima devastato, a tornare pian piano alla normalità. Il martedì mattina va così: prima caffè e brioche al bar. Poi si va a prendere un po’ di toscano alla panetteria a fianco e, infine, melanzane e cocomero nel negozio vicino. La ripartenza nel quartiere dell’Orto Bertoni passa anche da questi piccoli gesti. Nonostante i risarcimenti restino un miraggio, le attività sono ripartite, presidio fondamentale per rilanciare la vita dell’intero quartiere ed evitare così, dopo l’alluvione, una desertificazione economica e sociale. Una sfida difficile che però è ancora lunga: “Gli aiuti dello Stato? Ancora zero…” ci dicono i protagonisti.

Il bar: luogo di socialità, “per la gente è importante tornare a incontrarsi”

bar orto bertoni faenza

«La cosa più bella? Rivedere i sorrisi negli occhi dei nostri clienti». Sono le parole di Andrea Pini, titolare del Caffè pasticceria Bertoni che ha riaperto il 7 agosto. Nemmeno il metro e mezzo di acqua che ha devastato i locali ha messo in dubbio la riapertura. Nemmeno i 40mila euro di investimenti, tutti di tasca propria, da mettere in campo per risistemarli. Nemmeno il magazzino ancora inutilizzabile, e ci vorranno altri soldi per recuperarlo. Da sette anni il bar è un punto di riferimento del quartiere. Seduta su un tavolino del bar sta un’anziana signora cardiopatica. Vive all’ultimo piano di un condominio poco lontano da lì. L’ascensore è andato in tilt dopo l’alluvione, per cui ora è costretta a stare gran parte dei propri giorni in casa. «Ci vorranno ancora diversi mesi prima che sia sistemato» racconta il figlio, grazie al quale la donna può concedersi un po’ di svago, come uscire di casa e gustarsi quel cappuccino che sta bevendo al bar. «Dopo il 16 maggio qui in questa piazzetta era il deserto – prosegue Pini -. È stato importante riaprire e riportare la socialità, grazie a tutte le altre attività presenti. Ci stiamo dando una grande mano a vicenda, per esempio con il frutta e verdura o la panetteria a fianco».

Il bar è sinonimo di incontro, relazioni e luogo di dibattito per sondare l’umore delle persone dopo il disastro dell’alluvione. «In questi mesi la bella stagione ha aiutato – racconta -, ma con l’arrivo dell’autunno c’è tanta paura tra la gente. Le discussioni al bar? Ognuno condivide la propria situazione: i risarcimenti sono arrivati? Quando sistemeranno gli argini? I temi di cui si parla sono sempre quelli…». E c’è sempre, purtroppo, una costante. «Gli aiuti ricevuti finora? Zero – sottolinea Andrea -. Ma tanto lo sappiamo, non dobbiamo contare su quelli. Però pretendiamo la messa in sicurezza del fiume: è imprescindibile. La prima volta che ti succede una cosa simile ti rimbocchi le maniche e riparti. Ma se dovesse ricapitare una tragedia simile, non avrei la forza per riaprire».

La panetteria Dolce forno: “Alle sfide che dobbiamo affrontare si aggiunge l’aumento dei prezzi…”

dolce forno

«Siamo di Tredozio. Abbiamo saputo quello che stava accadendo quella notte in negozio solo tramite i video che ci arrivavano. Per una decina di giorni siamo stati bloccati e non potevamo scendere a Faenza, per cui a occuparsi di risistemare la panetteria sono stati i nostri parenti. Pensare di non riaprire? Forse solo i primi giorni dopo il disastro, ma poi ci siamo subito messi all’opera». Sono le parole di Massimo Visani, titolare da dodici anni di Dolce forno, realtà che ha riaperto i battenti il 2 agosto: in tutto circa 30mila euro i primi danni subiti e tanto lavoro da fare. «La riapertura è andata bene, con ottimo riscontro dalle persone. Ad alcuni, quel giorno, è scesa anche qualche lacrima di commozione. Da tutto il quartiere è emersa una grande solidarietà e voglia di ripartire».

Quella del 2 agosto è stata però solo una tappa di un cammino ancora lungo e difficile, che non va edulcorato. «Siamo stati senza lavorare per due mesi – ricorda – e adesso ci sono da pagare mutui e dipendenti. Inoltre spaventa l’aumento dei prezzi. Per fare un esempio, l’olio che utilizziamo nel forno ha visto triplicare i costi e con farine e zucchero non siamo messi meglio. In tutto questo contesto, le bollette da pagare sono solo rimandate e sembra quasi una presa in giro che i primi soldi per i risarcimenti siano comunque tassati». In sintesi: «dallo Stato e dalle istituzioni ci sentiamo abbandonati. E dove vanno a finire i soldi di tutte le iniziative di solidarietà che vediamo in giro? Al momento, non certo alle persone che ne avrebbero bisogno».

Frutta e verdura Kavolo km0: “Importante la collaborazione tra tutte le attività del quartiere”

frutta e verdura

A due settimane dall’alluvione, frutta e verdura coltivati nei propri orti erano già esposti fuori dal negozio. I locali erano inutilizzabili, ma ci si è rimboccati le maniche per continuare a offrire il proprio servizio a un quartiere ferito. Anche il negozio Kavolo km0 ha affrontato la ripartenza del post-alluvione. «Ci sono ancora tante difficoltà – spiega Morena Bellini, figlia dei titolari –. Abbiamo il garage e il magazzino ancora inutilizzabili. Perché si possano sistemare dobbiamo aspettare ancora che si risecchino i muri. A darci la forza in questi mesi è stato il bel cordone cittadino che si è creato e le collaborazioni con le altre realtà del quartiere. Avendo inutilizzabili i locali interni, abbiamo messo a disposizione un tavolo fuori dal negozio per mangiare assieme alle altre persone nella pausa pranzo».

Oltre al magazzino sono ancora inutilizzabili i servizi igienici. «Sembra una piccola cosa – commenta -, ma non lo è: in questi spazi stiamo anche 12 ore al giorno. Per cui abbiamo ricevuto grande solidarietà, per esempio dal bar, che ci mette a disposizione il proprio bagno». Tra le attività ci si aiuta a vicenda. Per il futuro «serve maggiore consapevolezza della gestione del territorio e più trasparenza da parte delle istituzioni», dice. Anche per questo il frutta e verdura è diventato sede di un punto raccolta per le iscrizioni al comitato cittadino Orto Bertoni. «Pensiamo sia importante fare rete tra le persone, anche con queste iniziative. È emerso il lato più bello della gente: ognuno ha cercato di aiutare, chi lavorando e chi anche solo stando accanto con un sorriso. Grazie a questo siamo ripartiti. Senza sarebbe stato molto più difficile».

Samuele Marchi